Razza, classe, genere e Gun Control
Nel suo discorso di inizio anno il presidente statunitense Obama ha annunciato una serie di misure atte a rendere più difficile l’accesso alle armi a soggetti “pericolosi”. È un obiettivo che il presidente persegue da anni e che, data l’opposizione del congresso federale, a maggioranza repubblicana, e dove anche una parte del Democratic Party non vede con favore le misure dirette al gun control, ha visto, per il raggiungimento di questo fine, l’utilizzo di un “executive order”: dato che il sistema politico americano è presidenziale e che il presidente svolge anche la funzione del capo dell’esecutivo potremmo, per rendere parzialmente l’idea, comparare questo atto ad un decreto legislativo del governo in Italia. Ovviamente il fatto di prendere decisioni in modo autoritario su un argomento oggetto di ampio dibattito pubblico ha suscitato diverse polemiche negli USA e non è esclusa che la decisione presidenziale possa essere ribaltata da decisioni delle varie corti giudiziarie, compresa la corte suprema.
Invece i media liberals hanno urlato dalla gioia, sopratutto New York Times e Washington Post. Anche la stampa europea ha accolto con un certo entusiasmo la decisione di Obama. In Italia abbiamo potuto assistere ai redattori de la Repubblica gongolare per la decisione, sopratutto l’infausta coppia Zucconi & Serra. Addirittura Serra ha preso spunto, nella sua quotidiana rubrica[1], da questo fatto per una disquisizione su che cosa voglia essere di sinistra, finendo, al solito, nel più totale nonsense.
Il portale della post-autonomia “Infoaut” è riuscito addirittura a superare a destra il presidente statunitense: nell’articolo “Chi crede alle lacrime di Obama?” il redattore si lamenta del fatto che il presidente non possa/voglia fare abbastanza per limitare il numero di armi circolanti e si lancia in un’arguta disquisizione sul legame tra cultura liberale, diritto di possedere armi e sulla famigerata lobby delle armi, fornendo cifre in modalità “ad mentula canis,” banalizzando un fenomeno complesso e confondendo milizie con “guardie nazionali” (chiamate federali nell’articolo, sic). Questi aquilotti delle analisi di classe (totalmente scomparsa dal pezzo citato) dimostrano di essere completamente confusi, pronti ad inseguire la polemica del giorno per ottenere visibilità, sacrificando completamente il senso dell’analisi. Su una cosa comunque siamo d’accordo con loro: le lacrime di Obama sono ipocrite.
Il presidente americano è a capo del maggiore esportate di armi e sistemi d’arma del pianeta[3] ed è a capo dell’apparato militare più importante al mondo. Le sue lacrime non valgono per le migliaia di vittime del programma di omicidi tramite droni, vittime che in moltissimi casi non erano minimamente legate agli obiettivi delle missioni[4]. Le sue lacrime non valgono nemmeno per più di mille persone uccise, in molti casi in modo ingiustificabile anche per le stesse categorie democratico-liberali, dalle forze dell’ordine statunitensi[5]. Non valgono per chi muore sotto le bombe dell’USAF.
E la vera lobby delle armi negli USA non è tanto l’NRA, su cui torneremo in seguito, ma è il complesso militare-industriale.
A questo bisogna aggiungere un’altra serie di considerazioni che fanno emergere il lato fortemente classista e razzista delle misure che espandono il gun control. Il meccanismo che l’executive order va ad implementare serve ad introdurre obbligatoriamente i background check in tutto il territorio statunitense e ad eliminare una serie di cortocircuiti legislativi che permettevano di acquistare molto più liberamente, evitando i controlli già esistenti (al contrario di quanto sostenuto da molti opinionisti negli USA le armi non si comprano legalmente con la stessa facilità con cui si compra il pane). I background check sono delle misure di controllo dei precedenti penali, se questi sono presenti vanno ad inficiare la vendita dell’arma. E qua sorge il problema: la polizia statunitense, a livello di contea come a livello statale, da sempre si impegna in quella simpatica pratica che si chiama “racial profiling”: se sei nero/latino/nativo vieni fermato in modo casuale per controlli di polizia, se sei pulito si inventano qualche reato da appiopparti[6]. E parliamo di reati a volte assolutamente fantasiosi, come bere una lattina di birra in pubblico, vestirsi in modo non consono, crimini non violenti, come il consumo di droghe anche leggere. Le peculiarità del sistema penale statunitense, evolutosi insieme alle esigenze del capitale di tenere sotto controllo una crescente massa di poveri ampliatesi dopo il ciclo di crisi degli anni settanta e ottanta coincise con la deindustrializzazione e la conseguente creazione di ampie fasce di disoccupati o working-poors in aree urbane, hanno portato all’applicazione di un vero e proprio diritto penale del nemico[7]. La convergenza tra questi fattori, la War on Drugs, il patriarcato e il razzismo strutturale, presente, pur in varia misura, in tutti gli stati dell’unione, ha portato ad un’esplosione delle dimensioni della popolazione carceraria e delle persone con precedenti penali, spesso ridicoli[8]. Inoltre l’introduzione di questi controlli mette in profonda difficoltà gruppi come quelli delle sex workers che coniugano due caratteristiche: svolgere un lavoro che spesso porta ad avere piccoli precedenti penali (sopratutto per crimini non violenti quali atti osceni) ed essere estremamente esposte a rischio di aggressioni sessuali. Altra categoria che verrà colpita è quella delle persone che hanno ricevuto diagnosi psichiatriche, anche anni prima, e stiamo parlando di un paese, gli USA, dove diagnosi di questo tipo vengono distribuite con generosità e precocemente. Un paese dove è più evidente l’uso della psichiatria come mezzo di controllo sociale.
Insomma la tendenza evidenziata dalla decisione di Obama è quella di una maggiore restrizione dell’accesso alle armi per una serie di categorie oppresse, per razza, classe e genere. Cosa ci sarebbe di sinistra in tutto questo? Nulla, checché ne dicano Serra e Infoaut.
E attenzione: l’opposizione a queste misure da parte del Partito Repubblicano e della NRA è estremamente ipocrita. Nei fatti l’NRA si è ampiamente profusa, a partire dagli anni sessanta, per limitare l’accesso alle armi alla popolazione di colore, nello stesso periodo in cui emergevano i movimenti per i diritti civili, che spesso, al contrario della vulgata corrente, si appoggiavano per la difesa immediata alla possibilità di reagire manu militare ai raid del KKK[9].
Comprendere i biases
Nota metodologica: il paragrafo seguente rientra nel piano delle mere ipotesi di studio, l’autore non ha avuto tempo e modo di studiarsi articoli e libri dotati di consenso accademico in merito all’argomento trattato. Pertanto prendetelo per quel che è. Per insulti e osservazioni: ottimismo@anche.no
Il punto di osservazione europeo sugli USA è, a nostro parere, viziato da una serie di biases che vedono lo statunitense medio come una persona incapace di intendere e volere. Un’origine di questo insieme di biases può essere, forse, ricercato nel fatto che gli USA sono visti ancora in un ottica coloniale, sopratutto in Gran Bretagna. Intendiamoci: una serie di personaggi politici, di alto profilo, emersi in ambito statunitense aiutano questa tesi: detto ciò è come se si prendesse di analizzare l’intera società italiana partendo da Borghezio o quella francese partendo da Le Pen. La società statunitense è molto più variegata di quanto si possa pensare normalmente e presenta al suo interno una serie di contraddizioni che sono tutte da analizzare. La rappresentazione degli USA in Europa è, a nostro parere, soggetta ad un interessante paradosso: gli Stati Uniti sono riusciti a raggiungere l’egemonia dei paesi occidentali e del capitalismo globale tramite la notoria unione di capacità di egemonia culturale più capacità di dominio militare ma al contempo la loro egemonia culturale viene continuamente messa in discussione dagli stessi paesi europei che, grazie al legame con gli USA, sono riusciti a riprendersi dalla sconfitta della seconda guerra mondiale, a contenere l’espansione del blocco sovietico, e, sopratutto, a mantenere una posizione di forza nello scacchiere globale, pur subordinata a quella statunitense, dopo l’esaurimento degli imperi coloniali.
Questo, unito ad un antiamericanismo d’accatto presente nell’estrema sinistra, con tanto di contorno rosso-bruno e campista, che confonde le classi dominanti negli USA con quelle dominate, porta a delle chimere concettuali profondamente radicate e dannose che, paradossalmente, rafforzano la presa del potere neoliberale, inficiando le possibilità di dialogo con le realtà che negli USA si muovono sul terreno dell’autorganizzazione di classe e spostando su un piano morale e idealistico l’analisi.
Milizie e miliziani
Nel momento in cui scriviamo presso il Malheur Wildlife Refuge, in Oregon, stato rurale della costa del Pacifico, è in atto un’occupazione di terreno federale da parte di una milizia privata. Questa milizia è guidata dalla famiglia Burns, dei medi proprietari terrieri entrati in conflitto con il governo federale. Parte dell’opinione pubblica statunitense li sta presentando come eroi, un’altra parte come terroristi. Entrambe le teorie sono a nostro parare errate. Da un lato l’utilizzo del termine “terrorismo” è fatto a sproposito: gli occupanti non hanno sparato un solo colpo e non hanno usato violenza fisica verso nessuno. Dall’alto lato lungi dal “difendere i propri diritti contro un governo tirannico” stanno perpetuando un modello di sfruttamento coloniale e razzista delle terre, il territorio occupato è storicamente di una tribù indiana, nel tentativo di metterlo a valore tramite pascoli. Un interessante articolo apparso sul sito “It’s going Down” giunge alla conclusione che:
“
To do this, it seems important to continue to sharpen distinctions between us and the Patriot movement.[…] It means allying with black people and other communities of color, as well as Indigenous peoples and other disenfranchised people struggling for collective liberation, including rural white opponents and potential-opponents of militia activity. Though the “anti-authoritarian” streak is strong in the militias, […] the militias’ power is reinforced by the institutional repression that backs them up. In particular, that support comes from the white supremacy of the government that would ruthlessly destroy similar dissent from communities of color. It also comes from the media, which offers them control over the stream of images, giving them full attention and preferable treatment by covering up their cracks and hypocrisies, […]. By fighting against institutional repression, we might also be able to create space for honest discussions of reactionary activity and how to confront it”
[10]. Insomma: combattere le milizie di estrema destra, problema realmente presente nelle realtà rurali statunitensi, non significa appellarsi al governo, federale o statale, che con le milizie ha molti punti di contatto strutturali, ma costruire situazioni di solidarietà nelle comunità locali, al di là delle barriere di razza imposte, per combattere contro lo sfruttamento dei vari speculatori. Questo significa togliere il terreno sotto i piedi alle suddette milizie considerando il fatto che alcuni simpatizzanti di base, non organicamente coinvolti in esse, hanno tutto l’interesse ad essere coinvolti in processi di emancipazione di carattere rivoluzionario.
Conclusioni (non definitive)
In definitiva le attuali misure che il governo federale sta tentando di imporre non possono che portare ad un peggioramento delle condizioni di vita delle classi popolari, limitando, o tentando di farlo, la capacità di autodifesa di gruppi che sono sottoposti ad oppressione strutturale. Una società sempre più massacrata dalla barbarie del capitale, sottoposta a processi di mercificazione e cicli di accumulazione di capitale che avanzano, o meglio si rilanciano, nelle zone rurali, si guardi al land grabbing legato al fracking, i cui individui sono sempre più alienati è la causa della violenza al suo interno. Appellarsi a presunti governi illuminati per risolvere alcune contraddizioni che, in qualche modo, saltano maggiormente all’occhio è inutile e controproducente. Gli Stati Uniti sono da decenni, e lo saranno ancora a medio termine, il centro dell’economia-mondo globalizzata in cui viviamo. Capire che cosa si muove al loro interno e quale è lo spazio politico dell’azione rivoluzionaria è fondamentale; necessitiamo di conseguenza l’abbandono di tutte quelle false concezioni moraliste e fallaci che spesso offuscano la capacità di analisi.
lorcon
Note:
[1]La Repubblica, Mercoledì 6 gennaio 2016
[2][2]http://tinyurl.com/infoaut-usa[3]http://tinyurl.com/wp-export
[4]http://tinyurl.com/drones-casualities
[5]http://tinyurl.com/killer-police
[6]http://tinyurl.com/academic-racial-profiling
[7]http://tinyurl.com/diritto-penale-del-nemico [autocitazione]
[8]http://tinyurl.com/qxtroo3
[9]http://tinyurl.com/racism-gun-control si veda anche http://tinyurl.com/rdk-guns
[10]http://tinyurl.com/jk6ewbv